mercoledì 11 novembre 2009

Leggende Scolastiche

Conoscevo un tipo, ai tempi del liceo. Non sono mai riuscito ad attrarlo completamente nella mia orbita di conoscenze; naturalmente ci misi tutto l'impegno possibile. Nonostante tutto quel ragazzo è sempre rimasto irraggiungibile, come una forza della natura: nessuna complessa metafora, nessuna mitificazione.
Appariva d'improvviso, nel grigiore di quell'immenso cortile. Tra le 11.10 e le 11.30, con rare eccezioni, la mia giornata cambiava rotta.
Se avevo abbastanza fortuna da incontrarlo, state pur certi che si fermava e mi raggiungeva a passo svelto, accompagnato da un bizzarro sorriso tra la soddisfazione e il desiderio pulsante.
Una specie di meta-attore, che mediava tra la monotona realtà di una ricreazione di liceo statale, e un piano astrale posto lievemente al di sopra della biosfera, teatro dell'immaginazione, sede principale del lato comico dell'anima.
In tre anni non ho mai appreso nulla della sua vita, fatta eccezione per i dettagli, del tutto insignificanti, di cui lui stesso mi rendeva partecipe. Quel minimo sindacale che serviva a giustificare la pur sincera simpatia tra due persone totalmente estranee; un pro forma, in sostanza.
Non me ne sono mai lamentato; certo, come ho già detto, ho sempre cercato di spingere più in là quei limiti posti dalla convenzione; d'altro canto col tempo capii che niente di tutto ciò sarebbe mai accaduto.. lui era fatto così: compariva, ti offriva una sigaretta e porgeva persino la fiamma (dalle sue mani, ci teneva particolarmente), si profondeva in gag sempre nuove, cabaret spicciolo, fosse una smorfia esilarante, il tormento di qualche vittima casuale, o rocambolesche doti mimiche che lo resero un celebre imitatore del corpo insegnanti.
Alle 11.30, poi, accompagnato dalla campanella, salutava cordialmente e ti scoccava uno sguardo d'intesa, ricordandoti la preziosità del momento condiviso.
Non sono mai riuscito a vederlo uscire da scuola.
Ciò che mi colpiva, a suo tempo, era come seminasse risate raccogliendo approvazione da larga parte degli studenti, e come dall'altro lato nessuno sapesse quali fossero le sue passioni, la musica che lo animava, i luoghi che frequentava.
Non nasconderò un certo grado d'invidia nei confronti dei misteriosi avventori che lo accompagnavano al di fuori, nel mondo esterno a quello sgangherato campo di basket coi tabelloni sfondati che era la nostra scuola.

Era tempo di maturità, e nonostante mi mancasse un anno prima di cominciare a cagarmi sotto, mi precipitai nell'aula vicino al bar, il giorno del suo orale. Avevo sentito dire che era un grande oratore, un artista della truffa per meglio dire: un essere umano capace di crearsi un'opinione istantanea su qualunque argomento al mondo, anche dove il buio era totale.
Lo vidi, di fronte alla commissione dei 6 designati a colorare il suo diploma.
Dapprima li ammansì con un “grasso” vocabolario; una volta attratta l'attenzione a sufficienza, smise di rispondere con i fatti nudi e crudi (dei quali raramente era a conoscenza) e stravolse il colloquio. Ogni domanda veniva inizialmente trattata partendo dalle premesse; poi, prima ancora di giungere al nodo dell'argomento, deviava improvvisamente, portando con sé i professori tra le pagine del proprio carnet di opinioni. Nessuno resisteva al magnetismo dei suoi pareri, del tutto inopportuni, del tutto fittizi.
Quell'infame aveva portato avanti il suo triennio a colpi di barzellette, attenuanti, e uno spiccato talento per la polemica.
Mi piacerebbe confessarvi come fu valutato dalla commissione, ma a tutt'oggi non conosco nome né cognome. Questo perché amava presentarsi coi nomi più improbabili che io abbia mai sentito: un giorno era Anacleto e si fingeva un gufo; la settimana seguente era Giangiotto Farlocchini, noto critico d'arte.
Pensare al quinto liceo senza un soggetto della sua risma mi rattristò moltissimo, per qualche tempo.
Scendere le scale per raggiungere il bar, sapendo perfettamente che nessuno sarebbe più saltato fuori da dietro l'angolo lanciando grida animalesche.. i primini avrebbero smesso di portare il K-way temendo gavettoni improvvisi.
Spesso continuo a chiedermi dove l'abbia portato la sua simpatica sconsideratezza.. lobbista a Londra? Fruttivendolo a Copacabana?

Solo due fattori riuscirono a consolarmi:
Avrei orgogliosamente riscosso la sua ricca eredità, l'anno venturo;
Terminato il suo colloquio (o quella farsa che definiremo tale) , si alzò, le orecchie rosse dalla soddisfazione, regalò un DVD a un professore, si accomiatò senza troppe cerimonie dalla commissione e si avviò verso il cancello.
Per la prima volta, lo vidi uscire da scuola. Sapevo benissimo che non vi sarebbe più rientrato.




Andrea Gionchetti

1 commento:

Fre ha detto...

Ciao, sono entrata in questo blog per caso digidando una stupida frase su google e sono rimasta colpita da questo racconto...
Complimenti. Bellissimo