giovedì 11 marzo 2010

Naturale?

L'uomo in realtà non è mai solo se è nella natura”, disse Shen Zhou (pittore cinese della dinastia Ming 1368-1644).Sembra quasi di poterlo intravedere, infatti, immerso in un paesaggio maestoso, avvolto nel “Qi”, flusso vitale della realtà tanto amata dagli artisti prima e dopo di lui. Si crea un' interessante commistione fra l'uomo e l'universo naturale, che attraversa in ogni epoca l'evoluzione interiore dell'essere vivente. Sacralità della natura. Dal latino “Ciò che sta per nascere”. Una totalità di fenomeni e forze spesso inspiegabili che da sempre ha rapito, affascinato ed ispirato. Impressionisti e paesaggisti cinesi si sentono vicini in questo studio profondo che ha radici ataviche. Un'ulteriore conferma di quanto le due facce del mondo siano attaccate da un filo invisibile molto vicino , ma paradossalmente “distante”.
Era l'epoca Tang (618-907) quando cominciò a formarsi in Cina un chiara e curiosa idea di filosofia di paesaggio, intrinseca nella cultura del posto in tanti modi e forme. Si parlava di conseguenza di “immagini della mente”, legate alla memoria di ciò che si era visto e immagazzinato dello spettacolo naturale prescelto dall'artista. Un concetto che si allontana dalla pittura dal vivo impressionista ma che più in là si congiungerà gradualmente, in una lotta continua fra tradizione ed innovazione (si parla del 1800 circa). Il paesaggio, “Shan Shui”, iniziava, così, ad essere un tutt'uno con la creazione umana spesso allibita davanti al sublime. Nella dinastia Song (960-1279), infatti, si volgeva il discorso artistico sulla grandiosità della natura rispetto all'essere umano, in un legame fra microcosmo e macrocosmo dedito ai pittori Song Settentrionali. Dall'altro lato invece i Song Meridionali, capeggiati da geni del pennello come Ma Yuan, si soffermavano sul lato riflessivo del letterato, “wenren”, cullato dall'ambiente circostante in una perfetta armonia vitale. Scorci ad angolo, catturavano l'attenzione dell'osservatore permettendo viaggi interiori non di poco conto, arrivando in futuro ad incarnarsi nello “stile contempativo” del sopracitato Shen Zhou. Nella dimensione sinica, quindi, l'allontanarsi dal centro abitato al fine di una composizione pura, non sporcata dalla società, ha dato molte possibilità alle filosofie buddhiste chan e taoiste di prendere parte alla catarsi artistica. Una leggenda così nota alla profondità umana che continua, anche adesso, a cercare liberazione delle “cementificazioni innaturali” delle città che non sempre danno risposte. Arrivando alla modernità del popolo cinese, si noterà, con i porti aperti e l'internazionalismo forzato del territorio, un interesse alle pennellate astratte, sognanti, di pittori (altrettanto rivolti alla natura come rifugio ideale) come Monet, Renoir, Cézanne e tanti altri, raggiungendo infine l'espressionista Vincent Van Gogh. Costoro, che frattempo venivano influenzati o influenzavano le culture nipponiche (da vedere la connessione con lo Ukiyo-e), fecero molta strada nella mente e nello spirito in crisi degli artisti cinesi alla ricerca della propria identità. Fu così
che in un dibattito infinito fra tradizione ed innovazione, la natura (nuovamente) darà risposte, spesso però arginate delle insidie sociali dell'evoluzione (o involuzione?). Wu Changshi e Huang Binhong (siamo oramai agli inizi del 1900) applicheranno, quindi, come nuova espressione della vitalità interiore, la filosofia del “En plain air” fusa alle tanto sudate pennellate paesaggistiche siniche, uniche al mondo. Ottima idea. I luoghi dell'anima della Cina ritornano in tutta la loro vena poetica naturale. Molti saranno gli scambi interculturali, i viaggi est-ovest, ovest-est che vogliono rinnovare, dare stimoli. La società però, prende piede velocissimamente, cominciando a schiacciare con gentilezza queste nuove possibilità, fino a strumentalizzare la “arte per il popolo” adottata da Mao Zedong (1949-1976) per la propaganda del suo partito. Una svolta incredibile nella storia artistica (naturale?), che darà origine ad un vortice di poster e manifesti ben lungi dal discorso fin'ora affrontato. È per questo motivo che la corrente dei cosiddetti “Neo-eccentrici” preferirà l'esilio (nazionale e non) rifugiandosi ancora una volta nella “semplice complessità” della natura, cercando di andare oltre le apparenze recuperando ancora una volta le filosofie (naturali) cinesi. Che forse questa dimensione “verde” abbia qualcosa a che vedere con i contadini che hanno formato la più grande popolazione al mondo? Non c'è tempo per rispondere o capire, il progresso si muove ancora arrivando così all'epoca di Deng Xiaoping (1979-1994), estremamente particolare.
Le forze alienanti della vita urbana, oramai ufficialmente cosmopolita, creano nuovi dibattiti ulteriormente in crisi fra passato, presente e futuro. Molte correnti, molti pensieri, molti pittori, ma poca la concretizzazione tanto ricercata. Dov'è la tradizione in mezzo ad una sfrenata libertà di innovazione? Dov'è il paesaggio verde, azzurro? Dov'è Ma Yuan? Se lo chiedono anche i cinesi, che mettono in discussione essi stessi la propria cultura, il proprio essere. Surrealismo, dada, pop, tecniche fotografiche, action painting, ma la natura non la si vede se non a sprazzi (come del resto in occidente). Gli ultimi anni, fino ad oggi, fanno pensare...Molte sono le tecnologie, tantissimi gli spunti scientifici delle pratiche pittoriche, incredibile è la velocità di comunicazione, ma tutto questo è un grosso artefatto. Che forse le risposte risiedono in quei paesaggi romantici da tempo dimenticati? Naturale...
Riflettiamo tutti insieme a Corot:“La bellezza in arte, verità immersa in un'impressione ricevuta dalla natura”.

Rubens Lanzillotti

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